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Le geometrie dell’anima

Il titolo melodrammatico non è voluto, mi è uscito così e non avevo voglia di pensare ad altro. Anzi, potrebbe essere che quest’espressione sia già stata usata da qualcuno, tipo quei manuali di auto-aiuto, o i libri della Tamaro, o tutta quella letteratura prettamente donnesca. Ho inavvertitamente cancellato, poi, l’incipit di questo post (le prime tre righe) e stavo riflettendo sugli infiniti modi di dire una stessa cosa. E’ un tema affascinante. (E sticazzi, Mrs. Macabrette di ‘sta ceppa, vorresti fare l’editor, ci mancherebbe che non trovi affascinante i diversi linguaggi con cui può essere detta una stessa cosa). In questo caso comunque ho già scritto troppo…volevo solo lasciare una citazione in forma di foto. (Citazione che ho già condiviso su Facebook, ma calcolando che dovrebbe esserci un solo “lettore” di queste pagine, tra gli amici del social network di Zuckerberg, preferisco ripetermi. Lettore, che tra l’altro è quello che ha consigliato questa lettura, scusate il giro di parole).

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(foto al libro Flatlandia, di Edwin A. Abbott, ed. Adelphi).

Uomini d’azione

Oggi spulciavo il mio “diario delle citazioni” e casualmente ho ritrovato questa:

” (…) tutti gli uomini immediati e d’azione sono attivi appunto perché sono ottusi e limitati (…): essi a ragione della loro limitatezza scambiano le cause primarie con quelle originarie, sicché si convincono più rapidamente e più facilmente degli altri di aver trovato un fondamento immutabile alla loro attività e così si tranquillizzano; e questo, si sa, è l’essenziale”.

da “Memorie del sottosuolo”

-F. M. Dostoevskij –

Saggezza inglese!

“Il valore di uno Stato, a lungo andare, coincide con il valore dei singoli individui che lo costituiscono; e uno Stato che pospone gli interessi della loro crescita ed elevazione intellettuale a qualcosa di appena superiore all’abilità amministrativa, o a quanto di essa si esprime nel disbrigo degli affari ordinari, e che rimpicciolisce i suoi cittadini per renderli docili strumenti nelle sue mani, sia pure a fini utili, scoprirà che, con piccoli uomini, niente di grande può essere effettivamente realizzato: scoprirà pure che la perfezione della macchina, cui ha sacrificato tutto, alla fine non gli servirà a nulla, proprio per il venir meno di quella forza vitale che esso, per far andare la macchina più speditamente, ha preferito bandire”.

paragrafo conclusivo di “Sulla Libertà” di John Stuart Mill

A volte mi chiedo se in Italia sia possibile il formarsi di una  vera Coscienza politica, morale e civile che non sia soltanto espressione di una maggioranza idiota e tirannica, oppure se nel nostro Paese siamo fisiologicamente costretti a farci calpestare dall’ideologia corrente di turno (tra l’altro, il “turno” degli imperativi cattolici dovrebbe essere passato da un po’). Mi chiedo se l’unico modo per far funzionare questo Stato sia quello di affidarlo nelle mani di un gruppo di esperti stranieri, perché, sempre per come la vedo io, in Italia il problema è duplice: da una parte manca la Cultura con la C maiuscola, quella che rende consapevoli e forma la mentalità delle persone; dall’altra manca una classe politica dirigente degna di essere votata con cognizione di causa (mi sono un po’ rotta le palle di scegliere il male minore dentro la cabina elettorale). Cosa cavolo serve ad un popolo per svegliarsi? Non mi stupirebbe che dalla bocca di Silvio (e nomino lui solo perché è in carica) uscisse una frase del tipo “Non hanno il pane?! Che mangino le brioches”. A “noi” italiani  bastano i provvedimenti di facciata, siamo felici quando viene introdotto il reato di clandestinità, senza pensare che non basta fare una legge, ma bisogna farla rispettare e la Giustizia nel Bel Paese è un concetto ancora piuttosto vago, anche visti insulti alla costituzione come il lodo Alfano che, in pratica, afferma “La Legge è uguale per tutti, ma per alcuni è un po’ più uguale che per altri”. Altro provvedimento assurdo è la Social Card, che ci catapulta da uno stato assistenzialista ad uno che fa la carità. E intanto l'”italiano medio” il lunedì al bar commenta i risultati calcistici oppure il matrimonio vip di turno dal parrucchiere. Ho come l’impressione che alla celebre espressione latina “panem et circenses”, stiano togliendo il pane, non solo sotto forma di cibo vero e proprio, ma anche (e soprattutto?!) come appetito per la Verità. Ci stiamo abituando a situazioni che non dovrebbero essere ritenute normali. Suonerà mai una sveglia?! Non lo so…

HPL

“E’ una sfortuna,
ma è anche una realtà, che la maggior parte della gente abbia
un’apertura mentale troppo limitata per valutare con intelligenza i
fenomeni rari in cui si imbattono gli individui più sensibili, fenomeni
che vanno oltre l’esperienza comune e che in pochi riescono a
percepire. Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non c’è netta
distinzione tra il reale e l’irreale, che le cose appaiono come sembrano
solo in virtù di delicati strumenti fisici e mentali attraverso cui le
percepiamo; ma il prosaico materialismo della maggioranza condanna come
follia i lampi di visione che a volte squarciano il velo dell’ottica
comune e del più ovvio empirismo”.


da “La Tomba”, racconto di Howard Phillips Lovecraft

Umani…troppo umani!

“So human as I am
I had to give up my defences”
“Any other world”, Mika
 
Sempre sulla scia del Daniel Gildenlöw-pensiero (“We will always be much more human than we wished to be”, -Beyond the pale-, Pain of Salvation e bisogna ripeterlo sennò Stefano si arrabbia e mi aizza contro la scimmia asceta!) ecco un’altra riflessione sul lato umano che c’è in ognuno di noi, quella cosa che talvolta ci costringe a lasciar perdere, ad alzare le braccia e dire “E’ troppo, mi arrendo!”.  Ci sono occasioni in cui la più grande vittoria è subire una colossale batosta. Sì, non ha senso…ma va bene così. 

A volte ritornano…

Ho bisogno di nuova forza per indignarmi, non posso pensare di aver ancora da
compiere 21 anni e sentire addosso la cinica passività di un’ottantenne. Mi
piacerebbe ritrovare un po’ di quell'”innocenza” e illusione che ti
fa credere di poter cambiare le cose, che non tutto faccia schifo, che ci sia
qualcosa per cui
vale la pena (e questa è la formula magica) lottare.
Così…ecco quello che per me è il pezzo più significativo di uno dei miei
libri preferiti, quello che ha segnato la mia giovinezza che fu (quanto avevo,
15 anni?! Più o meno mezzo secolo fa!). Ho bisogno di ritrovare qualche utopia
da inseguire, di cavalcare in groppa ad un unicorno. Certi giorni mi sento così
vecchia…dovrei recuperare un po’ di quella ragazzina che fuggiva dalla realtà
rifugiandosi tra le pagine di un libro e i cd di musica pop-punk. Insomma,
alcuni cercano di restare degli eterni “Peter Pan”, io invece voglio
ritrovare il Vecchio Alex che è in me, da qualche parte, sono sicura che c’è ancora. ..don’t give up the fight!!!!!

Alex, amico mio, finita questa lettera scenderò per via dei colli, via san Mamolo, via D’Azeglio e via Farini a cavallo della mia celebre vespa special, mi fermerò in piazza Minghetti di fronte alle poste, imbucherò la lettera, forse prenderò un gelato (mi va un gelato alla frutta con le amarene sopra), tornerò indietro, lascerò la vespa in giardino, mi chiuderò in casa e distruggerò tutti i quadri che si sono comprati i miei per far bello questo posto di morti. Mi fa troppo schifo vivere così, e ci sono troppo dentro per cambiare. Comunque, i miei sono dei poveretti. Non è per loro che ho deciso. E’ per me. Ho pensato e pensato, vecchio mio. E le mie conclusioni sono queste: se sei un barbone, un drogato, un immigrato, un albano, sei sfottuto. Ti isolano, sei fuori dal gruppo. Poi, il gruppo ti lascia più o meno in disparte all’inizio, fino a quando non ne fai una troppo grossa, e allora finisci in galera. Se invece sei una persona normale, rispettabile, se sei nel gruppo, bene o male lavori per il gruppo. E questo non vuol dire necessariamente essere onesti. Anzi. I capi del gruppo sono tipo gli amici dei miei, gran stronzi pieni di soldi che cercano di controllare la gente. Con i partiti, con la censura, con i gruppi economici- Ne sai a pacchi di queste cose, tu, che sei una specie di inkazzato sociale. Il gruppo è tutta la merda che ci danno da mangiare, giusto. Ecco, io credo che se ne esca o essendo intelligentissimi o spiritualmente liberi come i monaci buddisti o i grandi filosofi, e allora ci si innalza; oppure prendendo il sacco a pelo e andando a vivere alla stazione o nei campi nomadi, e allora ci si abbassa. A me la prima soluzione non mi va. Troppo dura. E poi l’unica cosa intellettuale che faccio e guardare i film. E la seconda non mi va perché a fare i barboni ci si ammala quasi subito e si diventa pieni di croste e malati e bruttissimi. C’è pure un terzo modo, alla fine: un salto fuori dal cerchio che ci hanno disegnato intorno. Ma fa solo un po’ schifo pensare a come sarà il mio corpo. Ieri notte ho sognato i pompieri che entravano in casa buttando giù la porta e trovavano il mio cadavere. Ero sdraiato per terra a pancia in su. Il pompiere era grosso, sui cinquanta, aveva i baffi neri, mi sollevava la testa e diceva: “Povero ragazzo…” come nei film. Ma sono a posto con me stesso, sai Alex?, perché è la prima grande cosa che faccio. Tutto il resto me l’hanno insegnato, questa storia l’ho progettata e decisa io. Alex, amico mio, sono sereno, non credere. Ti abbraccio e ti saluto con tutta la forza. Non lasciare che ti sottomettano. Non dimenticarmi.

Martino

(da Jack Frusciante èuscito dal gruppo, di E. Brizzi)

Piccolo principe

In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo…”
“Chi sei?” domando’ il piccolo principe, “sei molto carino…”
“Sono una volpe”, disse la volpe.
“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, sono cosi’ triste…”
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomestica”.
“Ah! scusa”, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire <addomesticare>?”
“Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe, “che cosa cerchi?”
“Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe.
“Che cosa vuol dire <addomesticare>?”
“Gli uomini” disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano. E’ molto noioso! Allevano anche delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?”
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire “<addomesticare>?”
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro’ per te unica al mondo”.
“Comincio a capire” disse il piccolo principe. “C’e’ un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”
“E’ possibile”, disse la volpe. “Capita di tutto sulla Terra…”
“Oh! non e’ sulla Terra”, disse il piccolo principe.
La volpe sembro’ perplessa:
“Su un altro pianeta?”
“Si”.

“Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
“No”.
“Questo mi interessa. E delle galline?”
“No”.
“Non c’e’ niente di perfetto”, sospiro’ la volpe. Ma la volpe ritorno’ alla sua idea:
“La mia vita e’ monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio’. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara’ illuminata. Conoscero’ un rumore di passi che sara’ diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara’ uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu’ in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e’ inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e’ triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sara’ meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e’ dorato, mi fara’ pensare a te. E amero’ il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardo’ a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, pero’. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non ci conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno piu’ tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia’ fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu’ amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
“Che cosa bisogna fare?” domando’ il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, cosi’, nell’erba. Io ti guardero’ con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ piu’ vicino…”
Il piccolo principe ritorno’ l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincero’ ad essere felice. Col passare dell’ora aumentera’ la mia felicita’. Quando saranno le quattro, incomincero’ ad agitarmi e ad inquietarmi; scopriro’ il prezzo della felicita’! Ma se tu vieni non si sa quando, io non sapro’ mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
“Che cos’e’ un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa e’ una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’e’ un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi e’ un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Cosi’ il piccolo principe addomestico’ la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “… piangero'”.
“La colpa e’ tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
“E’ vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“E’ certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”

“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.
Poi soggiunse:
“Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua e’ unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero’ un segreto”.
Il piccolo principe se ne ando’ a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente”, disse. “Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e’ per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
“Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. “Non si puo’ morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e’ piu’ importante di tutte voi, perche’ e’ lei che ho innaffiata. Perche’ e’ lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche’ e’ lei che ho riparata col paravento. Perche’ su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche’ e’ lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche’ e’ la mia rosa”.
E ritorno’ dalla volpe.
“Addio”, disse.

“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale e’ invisibile agli occhi”.
“L’essenziale e’ invisibile agli occhi”, ripete’ il piccolo principe, per ricordarselo.
“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi’ importante”.
“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurro’ il piccolo principe per ricordarselo.
“Gli uomini hanno dimenticato questa verita’. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”
“Io sono responsabile della mia rosa…” ripete’ il piccolo principe per ricordarselo.

(da “Il Piccolo Principe” di  Antoine de Saint-Exupéry)

Dedicato ai poveri piccoli idealisti smarriti nel mondo reale da parte di una persona cha avrebbe un dannato bisogno di sentirsi “volpe”. Porcaccia la miseria, ma quando sono diventata così vomitevolmente melensa?! La rispota la so…però questo non migliora le cose, anzi! Altro che Principe Azzurro a cavallo, io voglio un Piccolo Principe!

Rage

“C’è condanna peggiore
di non sapere perché,
senz’odio, e senz’amore,
ho in cuor tanto dolore?”
-Paul Verlaine-
 

Io sono una persona che non si arrabbia. Sincera ai limiti del fastidioso, ma incapace di esprimere fino in fondo quel che sente. E così io ingoio rospi e faccio finta che non mi importino un sacco di cose; non perdono, non dimentico, vado avanti come se nulla fosse. Poi, ad un certo punto, esplodo e crollo in lacrime. Certe volte ho la sensazione di aver subito passivamente troppe batoste, mi sento frustrata e delusa, incazzata con me stessa per questa tendenza a reprimere le emozioni troppo forti. Ho sempre avuto la presunzione di essere una che sopravvive, ma tutta questa lotta per la sopravvivenza ha distrutto altre parti di me, mi ha spinto a lasciar stare questioni che a lungo andare mi hanno fatto male. E così, dopo le lacrime dell’altro giorno, ho deciso di urlare un po’ di più, di sfogarmi. Sono stufa di mettere da parte le delusioni e tirare avanti, ora si grida…e che cazzo, a fare le personcine a modo non si ottiene niente: ruffiani, presuntuosi ed arroganti ti calpestano come uno zerbino…io mi sono rotta le palle! Sono indignata…per la prima volta in tanto tempo e se devo prendere a calci qualcuno, non mi porrò problemi a farlo. Non voglio più rimpiangere un “vaffanculo” non detto al momento giusto, nel nome di un presunto quieto vivere. Al diavolo!

Pillole di saggezza, o quasi

Ma il vero nome di Erasmo da Rotterdam, era Gerrit Gerritszoon oppure Geert Geertsz?! Oddio, in entrambi i casi credo che i suoi genitori non gli volessero un gran bene…dai, poverino, chissà come lo pigliavano per il culo da piccolo! Ad ogni modo il nome non gli ha impedito di dire delle grandi cose: “Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell’uomo più passione che ragione perchè fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso”…sul “meno difficile” ho i miei seri dubbi, per il resto non potrei essere più d’accordo! Poi, beh, mi sento un po’ in dovere di mettere il testo di una delle canzoni che fa da colonna sonora e contribuisce attivamente al mio strano umore felice…ancora lui, Patrick Wolf!
Don’t say no
I used to say just follow your heart
But my heart always led me in circles
and i used to say just follow your dreams
but my dreams always led me to murder
so now i don’t say nothing at all
i just bow my head to the battle
a thousand miles above our heads 
they are weaving 
giant currents around the sun
if you’re brave enough you’ll just let it happen
if youre brave enough you’ll just succumb

Dont say no to it
You cant say no to it

just throw yourself in
just give yourself in
to the pattern

a thousand miles above our heads
they are bleeding
mighty currents uopn the day
if youre brave enough you’ll just let it happen
if youre brave enough you’ll give yourself away

Dont say no to it!
You cant say no to it!

Dialogo folgorante

“What’s your greatest fear?”
“That other people will see me as I see them”

Verlaine&Rimbaud dal film “Total eclipse”